Cin cin col mirto di Sardegna: come e dove si produce il liquore tradizionale

Prodotto d'eccellenza al quale sono abbinate anche molte sagre

Mercoledì, 15 novembre 2023

In passato si riteneva che la sua pianta avesse origini divine e fosse portatrice di fortuna. Oggi dal nord al sud dell’Isola è un protagonista immancabile a fine pasto o durante i momenti più belli e importanti della vita: il mirto di Sardegna continua a sorprendere con il suo gusto e sapore inconfondibile.

Inserito tra i prodotti agroalimentari tradizionali (PAT) dell’Isola, questo aromatico liquore si ottiene con l’infusione delle bacche nell’alcool puro, con l’aggiunta di acqua e zucchero per addolcire e mitigare il grado alcolico, portandolo tra i 28 e i 36 gradi.

Oltre che come bevanda digestiva, il liquore viene utilizzato anche in cucina nella produzione di dolci: tra i più conosciuti spiccano i gueffus aromatizzati, preparati con un semplice impasto di farina di mandorle, mirto e zucchero. Le foglie sono invece particolarmente apprezzate per donare un aroma caratteristico alle carni, dalle quagliette al maiale arrosto.

Tra le aree più ricche di arbusti spicca l’Oristanese: uno dei centri che hanno fatto del mirto il proprio prodotto di punta è Ollastra, che ogni anno attira molti raccoglitori di bacche sui territori del colle San Martino e celebra il prodotto con un evento ad hoc.

Dalla pianta al bicchiere

Diffuso in alcune aree del Mediterraneo e su tutto il territorio regionale, il mirto è un arbusto spontaneo sempreverde che predilige i climi temperati e i terreni acidi.

L’altezza media può variare dagli 80 centimetri ai tre metri, con tronco eretto cilindrico e rami che presentano una colorazione grigiastra con foglie di un bel verde intenso e lucido.

La fioritura avviene nel periodo tra maggio e luglio: i fiori son bianchi, profumati e composti da cinque petali. Le bacche giungono a maturazione verso fine novembre e si presentano tonde e di colore bluastro: esiste inoltre una variante con bacche bianche.

I fiori del mirto

È proprio da fine novembre che inizia la raccolta delle bacche, per poi proseguire fino al mese di gennaio: effettuate rigorosamente senza l’utilizzo di macchinari, le operazioni si conducono nel pieno rispetto della pianta.

Molti raccoglitori utilizzano un pettine, passato con pazienza tra i rami, al fine di far ricadere le bacche nei cestini o in teli posti sotto l’arbusto, mentre altri prediligono l’uso di un bastone che, battuto sui rami, fa ricadere i frutti grazie al contraccolpo.

Terminata la raccolta, si passa alla pulizia da foglie e rametti: era uso comune utilizzare il vento per questa operazione, ponendo le bacche sui teli e sollevandole da terra, lasciando alle raffiche il compito di spazzare via gli scarti.

A questo punto si può procedere con la produzione del liquore: il conferimento delle bacche alle aziende produttrici deve avvenire nel più breve tempo possibile, perché i frutti rimangano intatti e non perdano le loro proprietà. La ricetta, tramandata di generazione in generazione, prevede l’utilizzo di soli quattro ingredienti, ovvero bacche , alcool, acqua e zucchero (o miele, nel caso di alcune aziende).

Nonostante anche le aziende utilizzino la stessa ricetta della produzione casalinga, la tecnologia fa senza dubbio la sua parte. Giunte in sede, le bacche vengono lavate accuratamente in acqua fredda e dunque immesse nei silos d’acciaio in infusione in alcool puro. Alcune aziende preferiscono effettuare un’incisione nella bacca per favorire il rilascio dell’essenza e la penetrazione dell’alcol.

Dopo il periodo d’infusione si procede alla separazione della parte liquida da quella solida: quest’ultima viene poi lavata con acqua pura per recuperare dalla bacche del liquido alcolico, miscelato poi al prodotto alla parte liquida.

Prima dell’imbottigliamento, l’infuso alcolico – che presenta ancora una gradazione di 50° – viene addolcito con zucchero o miele e annacquato con acqua minerale: a prodotto finito, si ottiene una bevanda tra i 28 e i 36 gradi. Con il filtraggio si ottiene dunque un liquore limpido dall’iconico colore rosso scuro – violaceo brillante.

Oltre alla variante classica, esiste anche il mirto bianco, ottenuto con l’utilizzo delle bacche bianche o con l’infuso delle foglie: il risultato è un liquore dal colore biancastro tendente al verde.

Ollastra, il paese del mirto

Situato nella bassa valle del Tirso, Ollastra, è un paese di circa 1100 abitanti che presenta un territorio ricco di arbusti di mirto, tanto che una delle zone della campagna appena fuori dal centro abitato viene chiamata “s’enna de sa mutta”, ovvero “la porta del mirto”.

L’area di s’enna de sa mutta

Nonostante questa particolare area non presenti molte piante, le strade che si diramano da essa conducono al colle San Martino, conosciuto dalla comunità su monti de Ollasta, nel quale il mirto cresce rigoglioso.

Ormai da tempo immemore gli ollastrini godono dell’utilizzo civico di queste terre, che, secondo le fonti orali, sarebbero state donate al paese da un certo don Petru Lacunesu, don Pietro da Laconi. Documenti storici attestano che il monte fosse di proprietà dei monaci domenicani di Oristano e in seguito dei religiosi di San Giovanni di Dio e dunque dell’ospedale San Martino.

Il colle San Martino

Fino al 1922 la proprietà del monte passò agli ollastrini, con l’acquisto direttamente dalla congregazione di Carità, che all’epoca gestiva l’ospedale. “È proprio nel monte San Martino che noi raccogliamo il mirto per il liquore”, ha spiegato il presidente delle Pro loco di Ollastra Giampiero Flore. “Il territorio è talmente legato alla comunità, che in passato il Comune pubblicava un’apposita ordinanza per stabilire che la raccolta delle bacche fosse riservata solamente ai residenti. Naturalmente anche persone di altri paesi frequentano la nostra zona per poi rivendere alle grandi aziende: si parla di circa 300 quintali raccolti ogni anno”.

Con le bacche raccolte sul monte, la Pro loco di Ollastra ogni anno produce il mirto da degustare in occasione della manifestazione “Ollastra in Mirto”. “L’evento è nato nel 1999, dall’idea di costituire una piccola cooperativa di produttori per valorizzare il mirto”, ha dichiarato Flore. “Ci siamo dunque recati all’allora Ersat per chiedere informazioni: qui il dottor Marcello Onorato ci ha spronati a valorizzare il prodotto con un evento, che non voleva essere una semplice sagra”.

“Nella prima edizione – svoltasi a dicembre – avevamo in programma un convegno che ha coinvolto le aziende dell’allora Consorzio di tutela del mirto e un concorso a loro dedicato, con una degustazione gratuita. e una giuria d’esperti. Siamo arrivati a ben 12 aziende, proveniente da tutta l’Isola”, ha aggiunto il presidente. “Negli anni abbiamo poi coinvolto gli agriturismi, mantenendo la formula del concorso. Abbiamo poi abbandonato questo programma, abbinando il liquore al cibo, con una classica cena”.

Oltre che con la ricchezza dei suoi territori, Ollastra stupisce anche con le sue bellezze architettoniche, tra le quali spiccano le chiese di San Marco, San Sebastiano, Santa Severa e San Costantino. A rendere il centro noto in tutta l’Isola è la grande Fiera di San Marco, in programma ogni 25 aprile, che richiama in paese numerosi appassionati e professionisti del settore zootecnico.

Un pianta mitica

Saldamente legata alla cultura dei popoli mediterranei, il mirto è da secoli considerata una pianta benaugurante e connessa al mondo del divino: non a caso, secondo il mito, lo stesso Adamo durante ne avrebbe portato con sé un rametto dal Paradiso terrestre.

Spostandosi nell’Antica Grecia, il mirto venne elevano a pianta sacra ad Afrodite e dunque dotata di poteri afrodisiaci e capaci di aumentare la fertilità. La dea infatti utilizzò dei rami per cingersi la testa dopo che Paride la dichiarò la più bella del mondo a discapito di Era e Atena. Secondo un altro mito, fu proprio dietro a un cespuglio di mirto che la dea si nascoste per sfuggire allo sguardo malizioso di un satiro.

I greci tuttavia consideravano il mirto capace di aumentare anche la potenza fisica di uomo: alimentati da tali superstizioni, pare che gli stessi atleti delle Olimpiadi ricevessero dagli allenatori dei ramoscelli come portafortuna e mezzo per ottenere nuova forza.

Il mito del mirto capace di donare vigore approdò presto anche tra gli antichi Romani, i cui soldati erano soliti adornare il proprio capo con questa particolare pianta mediterranea prima di partire alla conquista di nuovi territori.

Il mirto prima del liquore

L’utilizzo sull’Isola delle bacche per la produzione del noto liquore sarebbe un’invenzione più recente, anche se già nel 1700 fonti storiche attestano che venisse prodotto dai banditi di Gallura e contrabbandato illegalmente. In ogni caso, l’infusione del mirto è sempre stata per lo più legata all’ambito domestico, fino all’avvento delle aziende negli anni ‘70 del ‘900.

Già note agli Egizi, che le utilizzavano come rimedio per scacciare le malattie e le disgrazie, la pianta e le sue bacche sono state impiegate per secoli per scopi medicinali, tintori e aromatici.

Le bacche di mirto quasi giunte a piena maturazione

Greci e Romani utilizzavano il mirto per ricavare decotti, oli e pomate con le quali curavano malattie quali ulcera e disturbi respiratori. Nel Medioevo, è stato poi utilizzato dai profumieri per la distillazione dell’ “acqua degli angeli”, un’essenza particolarmente profumata.

In passato, si riteneva inoltre che le foglie avessero delle proprietà antisettiche, tanto che venivano bruciate per disinfettare l’aria delle stanze, o impiegate per dei decotti adatti ai lavaggi della persona. Tra gli altri usi figurano quello come colorante nero per stoffe o inchiostro per la scrittura grazie alle bacche, e della corteccia per la concia delle pelli.

Un’Isola di sagre

In tutta l’Isola, non è solo Ollastra a celebrare questo emblematico liquore della tradizione sarda. Il viaggio alla scoperta delle sagre parte da Telti, nel Sassarese, che dal 1994 continua a fare grandi numeri, attirando ad agosto nel centro gallurese una media di 20.000 presenze, arrivando a 25.000 nel 2023. I protagonisti assoluti della manifestazione sono i produttori e i piccoli imprenditori.

Sempre ad agosto, si può fare tappa a Brunella, frazione di Torpè: giunta alla 26a edizione, la sagra del mirto dà ampio spazio ai produttori, dando la possibilità ai visitatori di acquistare del buon liquore sul posto.

Lo scorso anno, anche Golfo Aranci si è stata inebriata dall’inconfondibile aroma del prezioso liquore con “Mirtò – Il Festival internazionale del Mirto”. Dopo la piccola anteprima Nuchis, frazione di Tempio Pausania nella quale è nata la prima biblioteca didattica dedicata alla cultura enogastronomica sarda, la manifestazione è arrivata nel borgo di mare unendo le eccellenze sarde, alla moda, lo spettacolo e l’artigianato del territorio.

[ Progetto realizzato in collaborazione con l’Assessorato al Turismo della Regione Sardegna ]

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