Il Centro incontra il quartiere: storie di vicinato in una sera a Su Brugu

La Chiesa di Su Brugu a Oristano

Giovedì, 19 ottobre 2023

“Siamo qui perché ci avete chiamato”, esordisce così l’instancabile direttore del Centro Servizi Culturali di Oristano, Marcello Marras, nell’incontro dal titolo “Il Centro in quartiere. Racconti di vicinato”, promosso dallo stesso Centro e da alcuni volontari, qualche giorno fa, in s’arruga ‘e is ballus, attuale via Aristana, una delle vie dello storico quartiere ‘e su Brugu. “Abbiamo portato dei libri che potete prendere e portare a casa”, dice Marcello. “Ci piace che i libri circolino, anziché lasciarli negli scaffali come acchiappa polvere. Ma i libri sono un pretesto. Quello che ci interessa è promuovere relazioni e creare spazi di condivisione nei quartieri della nostra città”.

L’ incontro si svolge all’aria aperta, dove il marciapiede è più largo, a ridosso di alcune domittedas ‘e ladrini, sopravvissute al tumultuoso e incontrollato uso di cemento e mattoni. L’aria è mite. Il cielo è solcato da innumerevoli stormi di uccelli: rientrano dalla campagna, per rifugiarsi durante la notte nelle fronde degli alberi della città.

C’è chi ha portato un libro, chi un racconto, una poesia, tutti con la voglia e la curiosità di incontrare i propri vicini. Ci si dispone in cerchio, uno di fronte all’altro, seduti su uno scannetto portato da casa, mentre Tore e Rita collegano un cavo dell’energia elettrica alla presa di un’abitazione accanto. La maggioranza dei presenti è rappresentata da donne, “perché voi donne avete una sensibilità culturale maggiore dei maschi”, precisa Marcello, con un sorriso sornione. “Non abbiamo una scaletta da seguire o programmato degli interventi”, dice. “Siamo qui per dare la possibilità a tutti di leggere, condividere un racconto, una poesia, scambiare notizie”, e subito cede il microfono a Maria Paola, che nel quartiere è nata e vissuta.

“Qui abitava il falegname. In quell’altra casa viveva una famiglia con una bambina che aiutavo a fare i compiti”, più in là, nello slargo della via, dove c’era su magasinu dei Vacca, organizzavano i balli, dice Maria Paola, seguita subito dopo da Giovanni che con la voce un po’ roca, a causa di un collare ortopedico, afferma: “Mi fa molto piacere vedere radunata qui tanta gente, così come accadeva tanti anni fa, quando le persone si incontravano per ascoltare is contus”.

“Io sono Marta. Mio nonno, due zie e uno zio abitano qua”, dice sorridendo una ragazza. Subito dopo propone ai presenti una poesia di Lawrence Ferlinghetti, Il mondo è un bel posto in cui nascere, il cui tema è l’accettazione della vita per quella che è, per le cose belle e brutte che offre.

“Sono nata in via Gialeto”, interviene emozionata la signora Maddalena. “Ho dei ricordi meravigliosi. Eravamo una grande famiglia: cosa che adesso non esiste più. Hanno rovinato la via con tutti questi palazzoni. La casa di mio padre è una antica casa campidanese. Ma io non la cederò mai in cambio di chissà quanti appartamenti. È così bella che non può essere scambiata con questi obbrobri che vediamo oggi!”, conclude sconsolata.

Intanto, Maria con l’aiuto di Francesco versa un po’ di mirto nei bicchierini per offrirlo ai presenti.

“Noi abitiamo in un’antica casa con un grande cortile, cosi come molte delle case del quartiere”, racconta Lina. “Chi ci ha preceduto lo utilizzava come orto per il proprio sostentamento. Era un giardino come nei racconti di fiabe: vi si trovava di tutto. Quando avevamo i bambini piccoli raccontavamo loro una storia che anche noi avevamo sentito, secondo cui la nostra era una casa di passaggio che portava ad un tunnel che collegava la via Aristana con la piazza Manno, dentro le mura della città. Tutti i giorni, ad una certa ora, vuoi per un colpo di vento, o chissà per cosa, si aprivano misteriosamente le porte e passava una strana figura che tutti chiamavano la Signora!”.

“Di apparizioni di una signora vestita di rosso si parlava anche nella casa di proprietà di un prete”, replica Maria Paola. “Forse, avrebbe potuto dirci qualcosa Savina, che su s’arruga ‘e Peppi Enna ha scritto un bellissimo romanzo, Cenere calda a mezzanotte, ma stasera non è venuta!”, afferma qualcuno, lontano dai microfoni.

Chi erano gli abitanti ‘e su Brugu? Come vivevano? Cosa facevano per vivere? Chi erano Peppi Enna, is Perrias, is Mattas , tutti nomi coi quali gli oristanesi indicavano le vie ‘e su Brugu?. Perché è importante conoscerne la storia?

Peppi Enna fiad un ommini arriccu chi mancu issu iscidiad su chi teniad”, era un uomo talmente ricco che neanche lui sapeva ciò che possedeva, dice Giampiero, riportando quanto aveva sentito dai nonni. “Fiad aicci becciu ca potat is genucus farratzaus”, era così vecchio che aveva la farina dei tarli nelle ginocchia. “Era quasi certamente un possidente, di origini nobili, proprietario di numerosi immobili e terreni. Rivestì importanti incarichi amministrativi nel governo della città. Nel 1794 cappeggiò una rivolta popolare contro alcuni nobili e commercianti locali che facevano incetta di grano per poi rivenderlo nei periodi di carestia, a prezzi altissimi”.

“Per conoscere la storia del nostro quartiere”, gli risponde Angela, che si occupa di ricerche d’archivio, “è possibile trovare molte informazioni nei documenti conservati nell’Archivio storico comunale; negli atti notarili dell’Archivio di Stato; nei verbali dei processi nei tribunali che raccontano nel dettaglio com’era la città in quel particolare momento storico”.

Le tenebre sono già salite. Senza la luce di due faretti portati da Marcello, collegati al cavo dell’energia elettrica di Tore e Rita, non sarebbe stato possibile continuare.

“Scusate, qualcuno di voi ha qualche notizia su Anacleto Sanna?”, chiede una giovane ragazza. “Era mio nonno!”, “Certo, tesoro”, le risponde Maddalena, che sugli abitanti ‘e s’arruga ‘e Peppi Enna sa tutto. “Ricordo benissimo tuo nonno, sua moglie Emma e le sue figlie. Viveva dove adesso sorge una …… “.

Gli interventi si sovrappongono e Marcello corre da una parte all’altra per cedere il microfono a quanti chiedono di intervenire. “Ho dimenticato di dirvi che quando è arrivato padre Maurizio la chiesa del Sacro Cuore era ancora in costruzione”, riprende a raccontare Maddalena. “Gli abitanti di via Gialeto, allora, costruirono una cappella nella casa di tzia Peppa Ciccioni. Signora Severina passava di casa in casa con la campanella per avvisare che la santa messa stava per iniziare”.

“Di via Arborea c’è qualcuno?”, chiede Marcello. Una signora alza la mano: “In s’arruga ‘e i Mattas, prima degli anni sessanta, mio padre, mio nonno, mio zio erano tutti figoli. Producevano broccas e sciveddas. Poi con l’arrivo della plastica e delle taniche finirono per produrre souvenir per i turisti”.

La voglia di parlare è tanta e Marcello fa un po’ fatica a contenere gli interventi dei presenti che vogliono raccontare i luoghi della propria infanzia scomparsi; raccontare una città irriconoscibile, senza più un’idea di comunità, con un’edilizia che non ha accolto, ma sradicato, cancellando il passato, costruendo, al posto delle case in ladrini con i giardini di fiaba, palazzi dalle facciate in spazzolato veneziano. Impossibile non provare nostalgia. O almeno immaginare come sarebbe potuto essere.

“Chiudiamo con Sara”, dice Marcello cedendole il microfono. “Una piazza va lasciata in pace. Ci pensa lei ad animarsi. Quello che importa è che sia pubblica piazza. Si vuota, si riempie e poi si vuota”, recita Sara, leggendo una poesia di Patrizia Cavalli. “Accoglie chi sta fuori e lo contiene finché sta fuori, che prima o poi dovrà tornare dentro. E se non è così non è più piazza, è privata terrazza o lugubre infinito lunapark. Noi siamo una piazza!

“Vi ringrazio per avermi consentito di partecipare a questo vostro incontro”, dice una signora quando ormai è buio pesto. “Io abito in s’arruga ‘e is pastoris. Speriamo di poter ripetere questo tipo di incontri anche nel nostro quartiere”. “Chiamateci!”, dice Marcello, chiudendo la serata. “Noi siamo disponibili per creare spazi di condivisione, socializzazione e ricostruzione di legami comunitari, per far rivivere i nostri quartieri. Per noi questi sono gli incontri più belli!”, conclude soddisfatto, mentre Tore e Rita stanno già ritirando il cavo della corrente elettrica.

Ciascuno col proprio scannetto si avvia a fare rientro nella propria casa per seguire le ultime notizie sulle guerre in corso in Ucraina e in Medio Oriente, in una notte molto buia. Gli uccelli già dormono al riparo delle fronde degli alberi.

Giampiero Enna

4 Commenti

  1. Bravo Marcello e bravi i suoi collaboratori!! Abbiamo bisogno di ricordare il passato per poter poter vivere il presente.
    Un caro saluto
    Adriana

  2. È bello passare il tempo per rivivere in comunità le nostre piccole storie di quartiere, senza avvelenarci con il telegiornale.

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