In Pinacoteca la mostra su Pietro Sedda “L’Opera del Nero”

Visitabile fino al prossimo 6 gennaio

In Pinacoteca la mostra su Pietro Sedda “L’Opera del Nero”
Visitabile fino al prossimo 6 gennaio

Inaugurata lo scorso 2 novembre prosegue fino al 6 gennaio nella Pinacoteca “Carlo Contini” di Oristano, la mostra “Pietro Sedda, L’Opera al Nero 1998-2018”, a cura di Ivo Serafino Fenu e con la complicità di Francesca Alfano Miglietti (FAM). Prodotta dal Comune di Oristano – Assessorato alla Cultura – col contributo della Fondazione di Sardegna e in collaborazione con la Fondazione Sa Sartiglia, è la prima grande antologica dedicata all’artista oristanese Pietro Sedda, tra i più apprezzati tatuatori in ambito internazionale e, contestualmente, artista visivo raffinato e concettualmente complesso, renitente a farsi imbrigliare nell’establishment del Contemporaneo

Una vicenda artistica, la sua, che ha il corpo come soggetto e oggetto d’indagine, in un sincretismo che coniuga Oriente e Occidente, un’arcaica cultura metropolitana e una futuribile visionarietà tribale, che lega spiritualità ed eros in una liturgia ora ludica ora funerea, per una surrealtà che ridefinisce e risemanticizza il corpo stesso: un corpo, elevato a semovente e urticante “sacra rappresentazione”, al limite della blasfemia.
Con oltre 80 opere tra pitture, polimaterici, disegni, fotografie e video, molte delle quali inedite, la mostra ripercorre vent’anni di un’attività artistica, un’
opera la nero dalle valenze fortemente pittoriche, a prescindere dal medium utilizzato, che si nutre di una tradizione iconografica plurimillenaria eppure aperta a un futuro misterioso e per nulla rassicurante, con una prassi che rende il corpo opera unica e irripetibile.

Di Ivo Serafino Fenu 
Pietro Sedda è un’opera al nero, un nero che percorre i vent’anni di attività raccontati in questa mostra: segno nigro che unisce le sue prime opere pittoriche di fine anni Novanta, aggressivamente espressionistiche e prossime a certo graffitismo metropolitano –, ai tatuaggi di oggi, che segna i corpi e che, al di là del dato estetico e della sua reale presenza nelle opere, diventa epifania di una condizione mentale ed esistenziale.
Nel segno del nero – con un’operazione di pura marca situazionista e mediante spericolati interventi di parassitismo estetico alle spalle di altri artisti –, nasce Pietrolio, un nom de plume che combina il vero nome dell’artista con funeree citazioni dell’ultimo Pasolini. Eros e Thanatos sono le polarità che l’attraggono: nelle sue “scorrerie” ci fa penetrare nei meandri del sesso fai-da-te apertisi nell’era di internet, utilizzando una grammatica visiva al contempo elementare e sofisticatissima. Il suo stile pittorico si muove con disinvoltura fra una dimensione fumettistica e certe atmosfere prossime alla Bad Painting inglese, ma non mancano dotte e ironiche citazioni della pittura pompier, della quale fa suo il gusto per una pennellata morbida, ricca di preziosismi stilistici che amplificano il velato erotismo di cui è intrisa, piegandola alle perversioni dell’oggi, compreso il rapporto complice e fatale tra vittima e carnefice. Fachiri, Follicoli, Falene, sono freaks, in linea col film del regista Tod Browning del 1932, figure morbose quali possono essere quelle create da un “fanciullino” insieme candido e perverso. Sono personaggi “ibridi” che, con una sorprendente continuità, popolano attualmente i suoi tatuaggi.
L’ambiguità, del resto, sta tutta nel “personaggio” Pietro Sedda, un’ambiguità in parte subita e in parte scientemente voluta e in bilico tra la professione di tatuatore tra i più rinomati e apprezzati in ambito internazionale e l’artista visivo, raffinato e concettualmente complesso quanto renitente a farsi imbrigliare nell’establishment del Contemporaneo.

Francesca Alfano Miglietti (FAM)
Pietro Sedda un personaggio versatile, capace di inseguire la bellezza dovunque si trova… Visionario e viaggiatore…. Pietro Sedda, viaggia, nei musei come nei continenti, nelle sue visioni e nelle visioni altrui… Un visionario… Un visionario innamorato di Rembrandt e di David, di Dalì e di Magritte, di Rogier van der Weyden e di Dürer … ma anche di visionari più vicini a lui nel tempo. I suoi disegni trattano di uomini, animali, vecchi e fari, accompagnati da parti oniriche, sfumature liriche e tratti puliti. Questa unione permette che i suoi disegni  siano al tempo stesso potenti e affascinanti, ma soprattutto questa unione gli dà la possibilità di poter disegnare ciò che non si vede. Pietro trasfigura le balene e disegna baci languidi, ritrae uomini pettinati e marinai in divisa, volti che contengono fiori o altri corpi, e poi persone in attesa su panchine e volti di merletto, Pietro trasforma la fauna in creature che si perdono nell’oscurità, e ibrida uomini con altri uomini e fiori e velieri. Tutto si trasforma nei suoi disegni, le immagini divengono anamorfosi e ossessioni, immagini che nascono e si dissolvono istantaneamente, tutto sembra confluire in desideri erotici.
Quello di Pietro è un mondo di miti e leggende, di segni e di materie, c’è qualcosa di inesprimibile e di irriducibile nella passione di tutte le culture del mondo per la rappresentazione, una congiunzione tra finito e infinito, in un dialogo tra materie che raccolgono ed emettono luce e vibrazioni, contenitori di leggende, di incontri sentimentali e di racconti di mille e una notte. Immagini di esseri che restituiscono l’intensità dei sogni, immagini che conservano la luce del sole quando il mondo si copre di buio.

 

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