Racconti di vicinato: le voci e la memoria delle vie de su Brugu
13 Ottobre 2025
Il secondo appuntamento promosso dal Centro Servizi Culturali raccontato da Giampiero Enna

Un momento dell'iniziativa - Foto di Giampiero Enna
Oristano
Il secondo appuntamento promosso dal Centro Servizi Culturali raccontato da Giampiero Enna
Un viaggio nella memoria collettiva e nei legami di vicinato che resistono al tempo: è questo il senso di “Racconti di vicinato”, il secondo appuntamento promosso dal Centro Servizi Culturali di Oristano tra le vie storiche de su Brugu. L’iniziativa, curata da Marcello Marras e animata dalla partecipazione spontanea degli abitanti, ha trasformato uno scorcio del quartiere in un salotto all’aperto, tra ricordi, musica e racconti di comunità. La racconta in questo articolo lo studioso Giampiero Enna.
“Eccoci di nuova qua, dopo due anni, oggi, lunedì 6 ottobre, in una delle storiche vie del su Brugu di Oristano, per questo secondo appuntamento, “Racconti di vicinato”, momento di incontro e ascolto sull’identità del nostro quartiere”. Apre così, Marcello Marras, direttore del Centro di Servizi Culturali di Oristano, l’incontro con gli abitanti ‘e s’arruga ‘e is ballus, via Aristana, s’arruga ‘e Peppi Enna, via Gialeto, s’arruga a mattas, via Arborea e s’arruga ‘e is Perrias, via Amsicora. Il cielo è luminosissimo, in questo tardo pomeriggio d’ottobre. Dopo le forti raffiche del Maestrale del giorno prima, l’aria è limpida e una luce dorata, radente, invade le vie della città. I partecipanti all’incontro hanno appena lasciato le loro dimore, dopo aver ascoltato alla TV le ultime notizie sulla guerra in Ucraina e gli spiragli di una tormentata pace in Medioriente. Con uno scannetto in mano, si sono avviati in s’arruga ‘e is ballus per incontrare i loro vicini. Intanto, Rita, Lina, Maria, Tore e gli altri volontari del Centro, hanno già provveduto, ad allacciare alla presa di una abitazione privata lunghi cavi elettrici per collegare l’amplificatore con i microfoni e due faretti con luci led. Sul davanzale di una finestra, due gatti osservano incuriositi l’insolito arrivo di tutte quelle persone lungo la via, disporsi ordinatamente in cerchio, sedute sui loro scanni, là dove il marciapiede è più largo. Dalla via Gialeto arriva anche Monica, con Nala, un bellissimo Border Collie. “Abbiamo pensato di impreziosire questa serata – riprende a parlare Marcello, soddisfatto per la numerosa partecipazione – con la musica di Stefano Pinna, suonatore di launeddas. “Scusate! Potete aumentare il volume della voce”, irrompe, inaspettato, Barrittedda, Benito Urgu, anche lui abitante ‘e s’arruga ‘e is Perrias. “Ho l’audio malconcio”, ammette, con tutta la sua carica di simpatia, mentre trova posto in un banco, accanto ad alcune signore che lo accolgono con un affettuoso applauso. Intanto, Marcello legge un breve saggio dello storico Felice Cherchi Paba sui balli del Carnevale oristanese, in cui viene spiegato in cosa consisteva su ballu torrau. “L’ultimo giorno di carnevale, accompagnati dal suono de su pippiaiou, le launeddas e il tamburino, i giovani ballerini sceglievano, tra le ballerine che li avevano precedentemente prescelti e con cui avevano ballato, quella più vicina al loro cuore, restituendole il ballo, “su ballu torrau, ossia il ballo restituito. Era questo un atto di reciproca e viva simpatia”. La lettura dell’interessante saggio storico continua a lungo, fino a quando lo stesso Marcello conclude e invita Stefano a suonare qualcosa. Giusto il tempo di accordare le ance e in un attimo, in ogni angolo della via, risuonano le note dell’antica, libera, polifonia delle launeddas. “Passiamo ai ricordi”, si affretta a dire Marcello, dopo i fraseggi musicali di Stefano, offrendo il microfono ad Anna Paola. “Sono nata in questa via, dice Anna Paola. Quando ero bambina, diversi gruppi di giovani musicisti suonavano, tra i quali quello di mio fratello Renzo”. “Il mio gruppo si chiamava “I Cherubini” interviene Renzo, emozionato per tanto interesse. Poi ho fatto parte degli ‘Assi’ di Santa Giusta, fino a quando è arrivato Benito”. “Erano i primi anni Sessanta, quando conobbi gli Assi, una sera nel Lido di Torre Grande, lo interrompe Benito, prendendo la parola. “Poi ho fatto parte dei Visconti e dei Nuraghi … Ma sono venuto qui per ricordare insieme a voi gli abitanti di via Aristana, ci tiene a precisare, invitando i presenti a fare altrettanto. “Le vie de su Brugu sono state la mia Università”, aggiunge. “Chi ricorda il personaggio che più di tutti rallegrava la via?” e senza aspettare risposte, dichiara: “Era Ninu Gallapanza! Sempre scalzo, indossava un berretto chiaro. Sembrava Ridolini. E ancora, ricordate tzia Ignazia? Moglie di zio Ilario. Vivevano nell’angolo della via. Lei era cieca e lui sordo. Noi bambini giocavamo davanti alla finestra della loro casa. Lei ci chiamava, ad uno ad uno: voleva sapere cosa succedeva nella piazza”. “E su Gobbettu, il barbiere, lo ricordate?” chiede una signora a voce alta. E Carmelo l’egittologo?”, chiede un’altra. Marcello fatica a cedere il microfono, perché tutti vogliono parlare, intervenire, raccontare, ricordare. “Di fronte a casa mia c’era un prete, predi Musu, molto noto in tutto il circondario”, riprende a raccontare Anna Paola. “Faceva fatture contro i malefici. A casa sua c’era un andirivieni di gente che si presentava con pacchi e fagotti, per pagare le sue prestazioni. “Io ho una memoria di ferro”, dice Benito e con l’aiuto dei presenti passa in rassegna la storia di: “Mitraglia, Peppi cascioni, Bolle e pezza, Pancino, Co(n)illu, Pepi Tore, Ato(n)i Crechi, tzia Giuannica, tzia Anna, tzia Desolina, Reparada”, tutti nomi di persone semplici, comuni, anonime, che non hanno inciso sulla storia, ma per molti aspetti l’hanno subita. Alle prese con l’apprendimento della lingua della modernità, l’italiano, considerata prus civilli, la loro è stata una vita umile, appartata, senza splendore, ma non per questo meno dignitosa di altre. Stefano interrompe quella malinconica rassegna di nomi di uomini e donne de su Brugu, pronunciati con nostalgia, soffiando aria con forza, senza interruzione, in su tumbu, sa mancosa, e sa mancosella, facendo vibrare i sottili vetri delle finestre delle umili domiteddas ‘e ladrini, che ancora si trovano nella via, sopravvissute ad una edilizia che non ha accolto ma sradicato, cancellandone il passato. “Le vie de su Brugu erano piene di bambini” – riprendono a raccontare i presenti. “Giocavano nelle strade fino all’imbrunire con trottole, tappi, funi, palloni di stracci, birrilla de imbidriu, birille di vetro; giocavano a campana, a barriera, cuaddus fortis, a cuas a cuas, nascondino, e a bandidus e carabineris”. “Chi ricorda Peppi Sonalla?”, grida ancora qualcuno. Marcello ha ormai rinunciato a cedere il microfono. “La storia de is Brugus di Oristano è legata al grano”, dice chi scrive, sollecitato da Anna Paola. “Il grano era considerato sacro. Serviva per l’alimentazione e la semina, ma anche per pagare i tributi richiesti dal feudatario. Bastava un periodo di siccità per mettere in crisi tutto il sistema. Numerosi abitanti dei villaggi intorno alla città, non potendo corrispondere i tributi richiesti venivano perseguiti dal feudatario, ed erano costretti a lasciare il loro villaggio. L’unico approdo di quei disperati per sfuggire alla fame e, prima ancora, alle pretese del feudatario, erano i conventi, i monasteri, le chiese, di cui la città di Eleonora era ricca, pronti ad accoglierli e ad offrire loro un piatto di minestra. Potevano poi avere occasioni di lavoro come giorronaderis, servi pastori, o nelle botteghe artigiane, pur di procurarsi un minimo di sostentamento. Numerosi abitanti dei Borghi di Oristano provenivano dai paesi del contado”.
Le tenebre iniziano a salire lungo le pareti delle case che assediano la via. Sotto la luce dei deboli faretti, la temperatura diminuisce rapidamente. Stefano riprende a suonare, Monica e la sua amica iniziano a ballare, seguite da Marcello e altre due signore. Anche Nana, il cane di Monica, vuole partecipare a quel momento di gioia, saltando addosso agli improvvisati ballerini. “Facciamo un applauso a tutti gli abitanti ‘e su Brugu che non ci sono più”, propone al microfono Benito, quando ormai è buio pesto, mentre Rita, Lina e gli altri iniziano a ritirare i cavi elettrici, microfoni e faretti. “Noi non li vediamo, ma in questo momento ci stanno guardando da lassù” aggiunge Benito. Tutti i presenti si alzano, e dopo i ringraziamenti di Marcello, per la bellissima serata, con l’auspicio di altri incontri di condivisione, socializzazione e ricostruzione di legami comunitari, lasciano la via, con lo scanno in mano, e ancora nelle orecchie il suono vibrante, pieno di passione e malinconia delle launeddas. Fanno rientro nelle loro case, con la speranza di sentire alla TV che qualcosa si sta muovendo per porre fine ad una delle pagine più buie della nostra storia recente, con la morte in Ucraina e in Medioriente di migliaia di bambini e civili. Gli ultimi ad andar via sono i due gatti, alla ricerca di un po’ di tepore dentro le loro case, contro lo spietato umido della notte.
Giampiero Enna
Lunedì, 13 ottobre 2025