venerdì, 28 Marzo, 2025

Dopo Oristano, anche Padova scopre la storia dei Falsi idoli sardo – fenici

I reperti sono esposti all'Antiquarium Arborense

I Falsi idoli sardo – fenici

La storia dei Falsi idoli sardo – fenici di Carlo Alberto esposti all’Antiquarium Arborense della città è stata tra i protagonisti di “A Tutela del Vero”, il ciclo di conferenze scientifiche che si è snodato tra Venezia e Padova dal 16 al 19 ottobre.

A ripercorre la vicenda è stato l’archeologo olbiese Simone Falqui in occasione del convegno “L’arte del falso. Poliedricità dell’inganno e tutela del patrimonio culturale”, ospitato dal palazzo padovano del Monte di Pietà e organizzato dall’Università di Padova.

L’archeologo olbiese Simone Falqui

“Il Ministero della Cultura, le università italiane ed estere, l’Arma dei Carabinieri e i liberi professionisti esperti del settore si sono confrontati su di un tema delicato, quello del mercato del falso e la falsificazione dei beni culturali”, ha spiegato l’archeologo. “In questo confronto si sono presi in esame anche alcuni casi studio, al fine di comprendere le problematiche e le conseguenze che la contraffazione ha sul patrimonio culturale e la società. Il mio contributo ha riguardato la storia e le problematiche legate alla falsificazione degli “idoli sardo-fenici”, avvenuta in Sardegna tra il 1819 ed il 1855”.

Alcuni falsari sardi, tra i quali il direttore del Regio Museo di Cagliari Gaetano Cara, riuscirono a vendere numerosi falsi idoli sardo-fenici, ovvero delle piccole figure che rappresentano personaggi femminili e maschili, a volte ermafroditi, di aspetto demoniaco e grottesco. “Questa contraffazione prese di mira grandi nomi quali il re Carlo Alberto ed il generale La Marmora, ed ebbe ripercussioni sugli studi storici ed archeologici di tutta Europa per quasi un secolo”, ha aggiunto Falqui.

I Falsi idoli

“Oggi siamo esposti a falsificazioni sia di materiali che di notizie ed il settore archeologico non è estraneo a tale fenomeno”, ha concluso Simone Falqui. “Queste pratiche producono danni ingenti alla conoscenza e alla comprensione collettiva del nostro patrimonio, creando confusione. È responsabilità dei professionisti della cultura trovare il modo più adeguato per comunicare e spiegare quello che i beni culturali trasmettono”.

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