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I portali monumentali di Oristano, simbolo dell’indipendenza economica: perchè non restaurarli?

7 Maggio 2020

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I portali monumentali di Oristano, simbolo dell’indipendenza economica: perchè non restaurarli?

  • copiato!

Valorizzare i portali monumentali di Oristano e delle sue frazioni, attraverso opere di restauro affidate a professionisti. È la proposta di un lettore, Fabio Loddi, suggerita dal transennamento di uno dei monumenti, nella piazza principale della frazione di Donigala, in seguito alla caduta di calcinacci. Con la speranza che le attuali transenne siano misure precauzionali provvisorie e non diventino invece eterno corollario dell’opera, simbolo di abbandono, Loddi coglie l’occasione per ricordare e spiegate a chi non lo sa il valore storico dei portali monumentali.

Questo il suo intervento.

Sicuramente tanti non sanno di che si va a parlare quando sentono la parola portale monumentale. Tanti altri – una volta che si rendono conto di cosa si sta trattando – reagiscono con una smorfia di sufficienza, come per comunicare una sdegnata sorpresa di fronte ad un interesse simile. Pochi si chiedono il perché dovrebbero interessarci. D’altronde non sono fenici, non sono romani, e tanto meno la leggenda dice che sono stati fatti da dei giganti. Niente di tutto questo.

I portali monumentali sono l’espressione di un’epoca storica ben precisa, che va dal XVI al XVIII secolo, e rappresentano una traccia unica di quell’epoca di cambiamento economico-sociale che permise alla Sardegna di non importare più l’olio dalle Baleari e dalla Liguria, ma di essere autosufficiente grazie alla scelta azzeccata di impiantare uliveti, sfruttando la tecnica dell’innesto con le piante di olivastro spontaneo. Proprio grazie ai profitti di questa rinascita economica nacque un nuovo ceto benestante che prese l’abitudine di ergere all’ingresso dei propri poderi un portale monumentale che fosse anche simbolo della nuova posizione sociale.

In tutta la Sardegna di questi portali ve ne sono poco più di venti, ventidue secondo alcune fonti, e più della metà di questi si trova presso il territorio di Oristano. Uno di questi, il portale di Vittu Sottu, con l’imponenza dei suoi otto metri di altezza, venne considerato da Vico Mossa come l’opera più notevole in Sardegna di architettura civile senza spazio interno. Ma sono unici nel loro genere anche il portale degli Scolopi, quello dell’oliveto Loffredo, quello detto de su Colonellu, quello dei Carmelitani e via dicendo. Sono tanti e molti di essi sono in stato di abbandono.

Certo, per alcuni di noi la nostra storia non ha importanza in quanto non gioca un ruolo di protagonismo sui libri di storia che hanno formato il nostro sapere e la nostra cultura di cittadini. Ma sarebbe giusto che tutti prendessimo atto del fatto che nella cultura globale il locale sopravvive solo nella forma in cui ha da dire qualcosa, in quanto attore di un percorso storico singolare. Queste opere rappresentano la memoria storica del territorio, la civiltà contadina di cui facevano parte i nostri antenati che un tempo calpestarono lo stesso suolo che oggi siamo noi a calpestare.

Se non si coltiva il rispetto verso le tracce di storia del territorio, si finisce per far sì che esso diventi uno spazio vuoto e privo di senso, come se in esso nulla fosse mai successo. E poi diventa chiaro che senza un senso di continuità non può sorgere un senso di responsabilità verso ciò che è di tutti ma non è di nessuno.

Non metto in dubbio che i portali rappresentino una storia abbastanza recente. Alla fine si tratta di quattro secoli fa e non di duemila. Ma perché non permettere anche a chi verrà fra quattro secoli di contemplare una traccia del loro passato?

Noi oristanesi abbiamo un vizio tristemente noto di smantellare il passato per poi pentircene. Perché non cambiare rotta e dare avvio ad un percorso di considerazione dei beni culturali che abbia inizio con il restauro professionale, e non dilettantistico, di queste opere storiche del nostro territorio ad oggi abbandonate?

Fabio Loddi

Giovedì, 7 maggio 2020

Red
7 Maggio 2020

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Commenti

  • Giuseppe Piras ha detto:
    8 Maggio 2020 alle 19:28

    Ottima considerazione che approvo a pieni voti!
    Alcuni anni fa scrissi un post presso la mia pagina Facebook dedicato al portale Vittu Sottu.
    Tra le varie informazioni di tipo storico-artistico, come lei, misi in evidenza la noncuranza per questi splendidi scorci di storia appartenenti ai secoli XVI/XVIII.
    Vorrei aggiungere che anche l’assenza di cartelli è da ritenersi a dir poco assurda!
    Per quale motivo sono ignorati? A differenza sua non penso che possa essere per la loro datazione “recente”.
    Secondo una mia teoria del tutto personale, è probabile che la causa possa radicarsi nell’astio verso il periodo sabaudo. Infatti i portali si sono diffusi in quei secoli di dominazione.
    Tuttavia, i motivi potrebbero essere molteplici, ma il risultato è il medesimo.
    Ritengo che sia giusto, oltre che doveroso, salvaguardare questi scorci monumentali dato che, come ha sostenuto lei: “Noi oristanesi abbiamo un vizio tristemente noto di smantellare il passato per poi pentircene.”

    Rispondi
  • Anna ha detto:
    8 Maggio 2020 alle 11:37

    Concordo con Fabio Loddi. Se poi venissero collegati tra loro e pure con i centri urbani attraverso piste ciclabili, sarebbe il massimo.

    Rispondi
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