“George Floyd non è una statistica, è un simbolo”. Federico Crobe, una storia americana e tante storie di razzismo

Il vicepresidente della consulta studentesca di Oristano ha scritto una lettera per dire basta alle ingiustizie e all'abuso di potere

Una società troppo distratta, silenziosa davanti alle ingiustizie. Federico Crobe, vicepresidente della Consulta studentesca di Oristano, non sopporta questo silenzio. Perché la tragedia di George Floyd (nero e senza lavoro), ucciso a Minneapolis da un poliziotto (bianco e con un passato di episodi violenti) non deve diventare solo un numero in una statistica di morti senza motivo e senza giustizia. In America ma non solo in America.

Ecco l’intervento di Federico Crobe.

George Floyd

“Vi prego, non riesco a respirare”
“Mi fa male lo stomaco”
“Mi fa male il collo”
“Mi uccideranno”.

Queste sono le parole che risuonano nella mia testa da quando ho visto il filmato della morte di George Floyd. George Floyd, morto il 25 maggio 2020. Ripeterò questo nome più volte in questa riflessione, perché è fondamentale dire il suo nome. Urlarlo, se necessario. George Floyd era un uomo americano di quarantasei anni, disoccupato e in cerca di lavoro, come molti cittadini americani per fronteggiare l’emergenza legata al coronavirus. Si era da poco trasferito a Minneapolis (Minnesota) da Houston (Texas) alla ricerca di un lavoro, perso quando il governatore del Minnesota dichiarò il lockdown.

George Floyd era un uomo qualunque. Anzi no, George Floyd era una persona insignificante, perché è così che funziona. Giusto? George Floyd è più di una statistica. Queste vite sono importanti, giusto? Queste vite sono importanti al punto che quando finiscono le rendiamo una percentuale, un numero. Devono essere certamente delle vite molto importanti, per non diventare più di una percentuale. Oppure diventano importanti solo quando finiscono? In vita, a quanto pare, non godono di altrettanto rilievo per essere considerate.

Quasi dimenticavo. George Floyd non era un uomo bianco. Non era ciò che l’America, negli ultimi quattro anni, ha reso il suo simbolo. Black Lives Matter, ma una volta che tali vite finiscono le persone si accorgono che esistevano in primo luogo. Perché questo è razzismo. Girarsi dall’altra parte quando queste cose accadono è razzismo. Non parlarne, non condividere tutto questo solo per sembrare “neutrali” non è altro che prendere parte al problema. Dite il suo nome. Dite il suo nome e poi dite TUTTI i nomi di TUTTE le persone che sono state uccise per nessun motivo oltre quello di non far parte di una maggioranza etnica. I nomi di tutte le persone che speravano di tornare a casa, il nome di chi non si sarebbe mai aspettato di essere ucciso e umiliato con un ginocchio al collo. Ucciso dal simbolo della supremazia bianca statunitense.

“Non esistono solo i neri”, vien detto quando si parla di queste cose. “Esistono anche i bianchi” o esistono solo i bianchi? Dobbiamo aspettare la prossima morte che, filmata, porterà scalpore per poco tempo? Fin quando George Floyd sarà George Floyd? Ci dev’essere un altro George Floyd? Lui non è una statistica. Lui è un simbolo. George Floyd è un simbolo, che ci dice che non ne possiamo più. Come esseri umani dobbiamo metterci in prima fila per le persone come lui che, ogni giorno, subiscono soprusi.

Non solo in America.
Non solo in Minnesota.
Non solo a Minneapolis.

Una persona che viene schernita per parlare con un accento differente da quello “italiano”. Chi, per il colore della propria pelle, viene guardato con sguardo di pregiudizio perché sia mai che “mi ruba qualcosa”. Però abbiamo condiviso il video di George Floyd. George Floyd lo condividiamo perché è stato ucciso. Le violenze razziali, i crimini d’odio, le scritte sui muri, queste cose non le condividiamo. C’è bisogno che qualcuno muoia per aprire gli occhi. A questo io dico no.

Dico no al “chiudere un occhio”, dico no al “non condivido perché non sono miei problemi”, dico no al “preferisco non parlarne e mantenere un punto di vista neutro”. Non possiamo permetterci di chiudere un occhio, perché quest’occhio chiuso costerà al mondo tante, troppe vite. Dobbiamo scegliere se essere parte del problema o alzarci in piedi e far sì che la nostra voce venga ascoltata. Far sì che la voce di persone come George Floyd, Dana Martin, Jazzaline Ware in America, ma anche Emmanuel Chidi Namdi, Mohammed Habassi, Ibrahime Diop, e tanti altri in Italia venga ascoltata. Lotteremo sempre in prima fila contro questi soprusi, contro questi atti disumani. Mai e poi mai dimenticare questi nomi. Scriveteli, urlateli, ma non dimenticateli.

Federico Crobe

Venerdì, 29 maggio 2020

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